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14 febbraio 2010

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appunti per una recensione di una recensione

1 febbraio 2010

di Fabio Foti

Freud, L'interpretazione dei Sogni, Bollati Boringhieri, 2010

Ferdinando Camon recensisce Freud su Tuttolibri di ieri.
Considerato che non c’è molto da aggiungere a quello che è già stato scritto sull’argomento e che Camon non è un terapeuta che possa portare un contributo clinico, né uno storico che possa rileggere la vicenda della psicanalisi con nuovi documenti, forse non restava che offrire una propria visione, parziale e soggettiva. Dispiace però che abbia scelto d’idealizzare la psicanalisi con l’entusiasmo estremista di un neoadepto, proprio lui che dovrebbe ben conoscere pregi e limiti di una pratica “terapeutica” ormai più che centenaria.

Non si può infatti, nel 2010, riproporre una visione ingenua e “mitica” come questa:

“Un uomo, una donna non è quello che è quando scrive, mangia, discute, fa l’amore: un uomo, una donna lo conosci quando ne conosci i sogni. Entrando nei suoi sogni, entri in uno spazio che neanche lui conosce. Quando ti racconta un sogno, ti dice di sé qualcosa che non sa. Perciò è sincero. L’uomo che dice quel che sa, o che sa quel che dice, mente”.

Questa idea del sogno e dell’analisi, del linguaggio e della narrazione, dell’autenticità e dell’identità è semplicemente superata. Sono gli stessi analisti attuali ad averla messa in crisi. E per un motivo molto semplice: hanno gradualmente abbandonato l’idolatria dell’inconscio e l’originario sospetto nei confronti del significato (e quindi di quel che si sa e di quel che si dice). Così come cercano, da anni, di integrare saperi e tecniche psicodinamiche con i risultati (ancora scarsetti, in realtà) delle neuroscienze, si propongono anche di uscire dall’isolamento disciplinare sul versante della cultura antropologica e psicologica. E questo comporta qualche rimaneggiamento delle teorie sul sogno, ad esempio.

Per questo non è più corretto affermare (se mai lo è stato), come fa Camon:

“L’interpretazione dei sogni è un allenamento all’espressione, che è l’esatto contrario della repressione: tutto, nella società reprime (scuola, religione, famiglia, ufficio…), tutto in analisi, libera”.

Quest’affermazione è talmente estremista che forse va interpretata (!). Camon oppone le Istituzioni di una società al rapporto duale dell’analisi. Qui non si tratta di essere solo il contrario di qualcosa, ma anche il nemico di qualcuno, anzi, il nemico di tutto ciò che è sociale in quanto istituzionalizzato. Esiste un termine psicopatologico per questa convinzione: megalomania. Ma Camon non è megalomane, perché le sue affermazioni non sono autoreferenziali, ma rimandano a un’Istituzione che rivendica la propria necessità. Questa Istituzione è l’analisi stessa.

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